Avevo 14 anni.
La macchina sfrecciava veloce sull’asfalto fradicio di pioggia e le goccioline di acqua disegnavano piste tortuose sui finestrini serrati.
Guardavo tra l’annoiata e l’ipnotizzata il gioco di analogie di quei piccoli rigagnoli d’acqua, lo ricordo come fosse ieri.
“Non vedo l’ora di diventare maggiorenne!” sbottai verso papà.
Senza distogliere lo sguardo dalla strada, lui, emise quel famigliare suono che fa sempre con la parte più superficiale della gola, è un misto tra uno schiarirsi la voce e un raschino ancestrale; è il suo vezzo ricorrente,lo utilizza in tutte le situazioni: per rompere l’imbarazzo, come intercalare, è la reazione alla sua insofferenza a qualsiasi polvere, polline, spora o pelo, lo usa come assenso, per dire “ti sto ascoltando”, o “ora hai esagerato”, fino ad arrivare al “ti voglio bene”.
Spesso precede una sua frase.
Quel giorno ci fu solo silenzio.
Non ottenni risposta.
Col sopracciglio sollevato, leggermente stizzita mi girai verso di lui, la mia vena adolescente pulsava già prepotente ed ero estremamente irritata dal fatto di non aver suscitato la reazione desiderata.
Lui percepì la moina, le sue labbra si inclinarono in un ghigno: “Perché? Così puoi fare quello che ti pare?”.
“No, perché così smetto di mangiare carne”.
Annunciai.
Odiavo l’idea di nutrirmi di animali, la odiavo con tutta me stessa, la trovavo irrazionale, primitiva, orribile, disumana.
Ancora silenzio.
Finalmente si sciolse: “Fai bene”.
Il dibattito si concluse così, scelse la soluzione migliore, mi conosceva benissimo: era impossibile farmi cambiare idea in quel momento.
Sarebbe scoppiato il solito bisticcio padre-figlia e considerando il carattere della figlia in questione, dotato di una vena acerba, selvatica e ribelle, il risultato sarebbe sicuramente stato un noiosissimo viaggio accanto alla sua amata bimba con bocca serrata, muso imbronciato e braccia incrociate sul petto.
Non mi prese sul serio quel giorno, ma come biasimarlo, d’altronde era da quando avevo 4 anni che rompevo le scatole a tutti con la storia di voler diventare “vetRinaria” e tra l’ilarità dei miei genitori e la tenerezza degli astanti che immaginavano una giovane Irene intenta ad agghindare una vetrina mentre auscultava il cuore di un gattino, il tutto finiva sempre con un “oh, che bello, che brava, piccolina,ti piacciono gli animali … tesoro … ne hai di tempo per cambiare idea”.
Per certe cose non si cambia idea, certe inclinazioni nascono con te, ti bruciano dentro, diventano passioni e missioni di vita.